lunedì 23 gennaio 2012

Hit Parade


Giusto la settimana scorsa vi ho presentato l'ultima scoperta del 2012 in fatto di Primati; ma in questi giorni, come ogni anno, l'Università dell'Arizona ha pubblicato l'elenco delle 10 specie più curiose ed interessanti scoperte nel corso del 2011 (scelte fra le tante con criteri, si presume, del tutto arbitrari, ma in fatto di eccentricità e stravaganze c'è poco da eccepire).

Potete così fare la conoscenza con Caerostris darwini, il ragno capace di tirare fili lunghi fino a 25 metri, che costruisce ragnatele di quasi 3 metri quadri, anche sospese su fiumi e laghetti, e la cui seta è il materiale più resistente mai studiato, 10 volte più del kevlar;

con Mycena luxaeterna, il fungo luminescente;

con Halomonas titanicae, il batterio mangia-ruggine che (con un pò di pazienza...) si sta pappando il relitto del Titanic;

con Varanus bitatawa, il magrissimo e variopinto varano arboricolo delle Filippine, lungo più di 2 metri per circa 10 kg;

con Glomeremus orchidophilus, dall'isola di Réunion (Mascarene), il grillo impollinatore, unico caso ben documentato per un Ortottero, che più che altro dimostra la straordinaria capacità di specializzazione delle Orchidacee nello scegliersi il proprio insetto pronubo (infatti questo grillo impollina una ed una sola specie di orchidea, Angraecum cadetii, molto rara);

con Philantomba walteri, l'antilope del Benin scoperta sotto forma di tranci in un mercato delle carni (la scoperta vale solo per noi occidentali, dato che gli autoctoni conoscevano benissimo sia l'antilope che le ricette ad essa più acconce);

con Tyrannobdella rex, la straordinariamente schifosissima sanguisuga con predilezione per le mucose umane, scoperta nel naso di una ragazzina peruviana (ma potrebbe andarvi anche peggio): se volete notizie più dettagliate, ne aveva già parlato anche L'orologiaio miope;

con Psathyrella aquatica, unico caso conosciuto di Basidiomicete (i classici e familiari funghi a cappello) che fruttifica sott'acqua, sul fondo dei fiumi;

con Saltoblattella montistabularis, lo scarafaggio che salta come una cavalletta;

con Halieutichtys intermedius, il pesce pipistrello a forma di frittella minacciato dallo sversamento di petrolio nel Golfo del Messico.

lunedì 16 gennaio 2012

New Entry



Dobbiamo un caloroso bentrovato a Microcebus gerpi, ultima specie di Primate ad essere scoperta: pubblicazione fresca fresca del 2012.
Si tratta di un piccolo lemuride del peso di circa 65 - 70 g, di cui sappiamo ancora quasi nulla, salvo il fatto che è, manco a dirlo, seriamente minacciato dalla scomparsa del suo habitat, la foresta pluviale di pianura in un'area probabilmente molto ristretta del Madagascar orientale.
Intanto, piacere della conoscenza e buona fortuna.

domenica 15 gennaio 2012

Il suicidio della crescita

In questa settimana mi sono capitati diversi pensieri da affrontare: uno "scatto di anzianità" di un certo impatto simbolico, una rimanenza di Nebbiolo che avevo preso in previsione di una cena che poi non si è fatta, e adesso mi tocca berlo... a volte la vita ci sottopone a prove molto dure.

Così oggi mi limito a sottoporvi questo articolo di Paolo Cacciari pubblicato mercoledì scorso, che da qualche giorno sto cercando di esaminare per commentare, ma in realtà merita di essere proposto così com'è: c'è ben poco da aggiungere.

lunedì 9 gennaio 2012

E al mignolino, che era il più piccino...

Delle genti che hanno bisogno di dodici pollici per fare un piede, e di tre piedi per fare una yarda, possiamo immaginare che abbiano sempre avuto la maggior parte delle dita delle mani occupate nell'impugnatura di una clava, di una mazza ferrata o di una spada, e che nel seguito dei secoli e delle tecnologie, di cannoneggiamanto in cannoneggiamento, abbiano potuto imporre le loro stravaganti unità di misura ad un vasto impero.
D'altra parte, se illustri conquistatori precedenti sono finiti in malora perchè i vari prefetti locali potevano permettersi di versare nelle casse dell'impero solo VI sesterzi ogni XIV di tributi riscossi, in un sistema di numerazione che nemmeno contemplava uno zero, capiamo che la praticità del fare di conto non era considerata una priorità fondamentale.

E quindi si può ben comprendere il rapido successo sia della numerazione araba, sia delle misure decimali (i nostri numeri sono in realtà di origine indiana, e gli arabi sono stati il tramite per la loro conoscenza ed introduzione in Europa).
A dire il vero, un sistema di computazione in base dodici funzionerebbe altrettanto bene, se avessimo una serie di 12 simboli numerici anzichè 10, ad esempio introducendo # tra 7 ed 8, e § dopo il 9. Avremmo un bellissimo tabellone della tombola 12 x 9, con ampliamento delle fantasie cabalistiche (La Paura fa 108), e la sestina sarebbe un premio piuttosto ambito.
Tutte le operazioni matematiche funzionerebbero altrettanto bene, ed avrebbero identiche proprietà: la computazione in base 10 non ha nessuna obbligatorietà intrinseca, basta solo che ci sia corrispondenza tra la ciclicità dei simboli ed il modo di fare le operazioni. La complicazione non sta nell'avere 12 once in una libbra, o 60 secondi in un minuto; la complicazione è gestire il conto di queste sottounità con le 10 cifre da 0 a 9 (spesso gli strumenti da laboratorio misurano il tempo in minuti e centesimi di minuto, e credo che prima o poi si dovrà fare questo passo anche nell'uso comune).
Anzi, forse un sistema a 12 cifre potrebbe fornire qualche piccolo vantaggio di utilità spicciola: le quantità corrispodenti a 12 e a 144 sarebbero rappresentate in cifre tonde, 10 e 100, e così via, e sarebbero divisibili per 2, per 3, per 4 e per 6, anzichè soltanto per 2 e per 5.
D'altra parte, la numerazione binaria, fatta solo di 0 e 1, è in realtà quella che oggi viene usata maggiormente, a nostra insaputa, ad esempio ogni volta che accendiamo uno strumento del tipo di quello che state utilizzando in questo momento: insomma, le 10 cifre non sono in sè un vincolo per il buon funzionamento dei calcoli.

Se dunque la nostra numerazione attuale ha preso piede, oltre che per la voglia che prenderebbe chiunque abbia da fare una sottrazione di gettare prontamente alle ortiche i MCCXVIII ed i CXLIV, è per la elementare corrispondenza tra i numeri espressi dalle cifre ed il più antico sistema di computazione da sempre usato: le dita delle mani.

Ed ecco che giungiamo alla legittima domanda del nipote quattrenne che ha originato tutto questo discorso: "Perchè le dita sono cinque ?"

Fino a venti - venticinque anni fa, la risposta sarebbe stata piuttosto sicura: la pentadattilia è un archetipo, fissato una volta per tutte fin dalle origini dei Tetrapodi (vocabolario non necessariamente da usarsi con il quattrenne). I Tetrapodi (i vertebrati terrestri: Anfibi, Rettili, Mammiferi e Uccelli) hanno da sempre avuto arti con una struttura di base a cinque dita, che può andare incontro a riduzioni di numero come adattamenti secondari. C'erano soddisfacenti spiegazioni embriologiche: l'arto si sviluppa per ramificazione di segmenti successivi: un osso singolo (omero o femore) poi due (radio e ulna o tibia e fibula), poi il più piccolo dei due si ramifica ulteriormente nelle tre serie di segmenti successivi che nell'insieme costituiscono il carpo o il tarso, fino ai cinque metacarpi o metatarsi; ed anche adattative: il terzo dito costituisce il proseguimento dell'asse centrale dell'arto, e due dita per lato sono il numero ottimale per garantire stabilità di appoggio ma non intralciare troppo la velocità di spostamento; tanto che laddove la velocità diventa di importanza primaria, purchè si faccia conto su terreni duri e solidi, la tendenza vantaggiosa è quella di ridurre il numero di dita che poggiano a terra, e si potrebbe fare tutto il bel discorso canonico sull'evoluzione del cavallo.

C'era, per la verità, la notevole eccezione degli Anfibi, che hanno cinque dita agli arti posteriori, ma sempre quattro a quelli anteriori, in tutte le specie sia viventi che fossili.
E a dirla proprio tutta, nei Tetrapodi più antichi ritrovati, dai poco memorabili nomi di Ichthyostega e Acanthostega, risalenti al Devoniano (390 - 340 milioni di anni fa), la documentazione fossile non forniva arti sufficientemente completi da permettere un conteggio preciso delle dita, ma si dava quasi per scontato che ne avessero cinque.

Ma per fortuna la storia naturale è più ricca di complessità di quanto noi immaginiamo, e le certezze hanno cominciato a vacillare dal 1984, quando Lebedev scoprì un altro antico tetrapode del Devoniano, il Tulerpeton, dotato di arti con sei dita. A stretto giro, nel 1987, furono scoperti nuovi reperti fossili sia di Ichthyostega che di Acanthostega, con arti finalmente ben completi: sette dita per Ichthyostega, e otto dita per Acanthostega.

Così, in poco tempo, ci siamo ritrovati a riconoscere tre specie ancestrali di vertebrati terrestri, e NESSUNA delle tre ha cinque dita.
Ancora, negli stessi anni, Shubin ed Alberch pubblicarono i loro studi sullo sviluppo embrionale delle dita, basati sul tempo di formazione degli abbozzi, e fecero, almeno in parte, cadere il modello dell'asse centrale con ramificazioni laterali. C'è sì un asse principale, ma esso costitiusce le basi di tutte le dita, in sequenza (da posteriore ad anteriore, il che ribalta la numerazione anatomica delle dita: il primo dito, il pollice, è l'ultimo a formarsi); il modello non è dunque quello delle ramificazioni delle venature delle foglie, con un asse centrale e vene laterali che si biforcano via via, ma piuttosto quello di un pettine, con un asse "portante" da cui partono in successione tutti i rami terminali (e anche qui c'è una complicazione: quello che nasce per primo è il 4° dito - l'anulare - , poi c'è una ramificazione contraria in senso posteriore, il 5° dito - il mignolo - , e poi in successione verso l'avanti 3°, 2° e 1° dito).

Ed ecco che allora la pentadattilia è una stabilizzazione secondaria, pur se antichissima, di un numero inizialmente variabile, ottenuta attraverso l'arresto di una proliferazione di ramificazioni in successione. Il modello di Shubin ed Alberch trova conferme nel fatto che nelle storie evolutive di specializzazioni comportanti la riduzione del numero di dita, il primo dito a sparire è sempre il primo, cioè l'ultimo a formarsi; viceversa, mutazioni più o meno rare che inducono dita soprannumerarie, osservate in diverse specie di vertebrati, producono dita supplementari oltre il primo (esistono rari casi di esadattilia anche nell'uomo, ma si tratta di solito di biforcazioni precoci dell'abbozzo embrionale di un dito: cioè, non un dito in più oltre il pollice, ma un dito che si "duplica" sdoppiandosi all'inizio del suo sviluppo: può darsi che la posizione peculiare del nostro primo dito renda fisicamente e geometricamente difficile l'espressione di mutazioni di tipo "proliferativo").

Ma dunque, perchè il numero cinque si è stabilizzato in modo così ineluttabile in tutta la nostra storia di vertebrati terrestri, al punto di non potere più essere modificato ? Come abbiamo detto, mutazioni in grado di ripristinare numeri più alti di dita esistono, ma non si sono mai affermate in nessun gruppo; anzi, al contrario, quando le necessità adattative hanno reso vantaggioso un dito supplementare, l'evoluzione ha inventato percorsi incredibilmente tortuosi: il "falso pollice" del Panda gigante, che è in realtà un ingrossamento del sesamoide radiale, un osso del polso; anche negli Anfibi Anuri ci sono spesso prepollici o prealluci, derivati da segmentazioni supplementari lungo l'asse del radio o della tibia, che normalmente non partecipano alla formazione di dita (che, come ho detto sopra, derivano dagli assi delle ossa minori, ulna e fibula).

Possiamo dubitare che quegli antichissimi tetrapodi ancestrali del Devoniano si siano estinti a causa delle difficoltà a contare, avendo un numero di dita variabile, ma il motivo di una stabilità così persistente, a dispetto della potenzialità tuttora esistente di modificazioni, rimane un mistero. Possiamo fantasticare su quali meraviglie avrebbe potuto esplorare sulla tastiera un Johann Sebastian Bach con otto dita per mano; ma allo stesso modo dovremmo anche rallegrarci del fatto che i nostri antenati non siano andati incontro a specializzazioni estreme come quella dei nostri amci equini, ed abbiano conservato tutto il loro banale ed indifferenziato corredo di dita che, magari per semplice casualità, fu fissato in epoche lontanissime su un numero "abbastanza buono per tutti gli usi", determinando fin da allora la nostra maggior propensione per centimetri e millimetri rispetto (ironia della nomenclatura) a piedi e pollici.