martedì 22 novembre 2011

Minzolinilandia



Trascrivo qui di seguito un passaggio di un articolo di Lucien Sève, filosofo francese, dal titolo "Salvare il genere umano, non solo il pianeta", pubblicato questo mese su Le monde diplomatique, che mi ha fatto trasecolare.

"Se chiedete ai meno politicizzati che cosa sia la causa ecologica vi verrà risposto, a colpo sicuro, che il riscaldamento del clima, causato dai gas a effetto serra, ci porta dritti verso un'era di catastrofi, che l'inquinamento della terra, dell'aria e dell'acqua ha raggiunto, in molti luoghi, delle soglie insostenibili, che l'esaurimento delle fonti di energia non rinnovabili fondamentali condanna il nostro attuale modo di produrre e di consumare, che l'uso dell'energia nucleare comporta dei rischi senza ritorno. Più d'uno menzionerà le minacce alla biodiversità per concludere, con parole sue, con l'indifferibile urgenza di ridurre l'impronta ecologica dei paesi ricchi.
Come fanno i meno politicizzati a sapere tutto ciò ? Grazie ai media che garantiscono un'informazione ecologica costante. Grazie alle esperienze dirette che lo provano, dal tempo che fa ai prezzi del carburante. Grazie ai discorsi di scienziati e politici che elevano saperi parziali al rango di visioni globali convertendoli poi in programmi politici affissi un pò ovunque. Nel corso degli ultimi decenni si è così costruita una cultura capace di dare coerenza a molteplici motivazioni e iniziative di cui si compone tale grande questione, la causa ecologica."

Eeeh ? Dove ? Quando ? Come ? Chi ?
Mentre leggevo queste righe, e man mano che sfumava l'impressione che si trattasse di uno scherzo, la mia costellazione di punti interrogativi singoli sui meno politicizzati che rispondono a segno a questioni di impatto ambientale delle produzioni, che interpretano i prezzi dei carburanti come sintomo di insostenibilità dei consumi anzichè come disincentivo all'irrefrenabile aspirazione a comprarsi il SUV, sull'informazione ecologica costante garantita dai media, ecc. ecc., sono confluite tutte nel maxidomandone generale globale: "Ma in quale mondo alieno vive questo signor Sève ?" Ho immaginato che uno che di mestiere fa il filosofo possa avere delle frequentazioni migliori delle mie, ma non ho trovato risposte soddisfacenti finchè non ho compreso che era sbagliata la domanda.
Correzione: "Ma in che mondo culturalmente degradato vivo io ?"
Se le statistiche internazionali certificano che per qualità dell'informazione l'Italia berlusconiana ha qualche cosa da invidiare allo Zimbabwe di Mugabe, che i media garantiscano "un'informazione ecologica costante" potrebbe non essere un'affermazione così ridicola, a Parigi.
Il resto, probabilmente, viene di conseguenza. Se pongo qualche questione di carattere ecologico ai meno politicizzati che conosco io (e anche alla maggior parte dei politicizzati, se per questo), posso aspettarmi "a colpo sicuro" che non sappiano nemmeno di cosa si stia parlando. Potrei raccontare discorsi raccapriccianti nei quali l'effetto serra veniva confuso con il buco nell'ozono, o che si possa tranquillamente bruciare combustibili organici senza produrre CO2 "perchè adesso ci sono le tecnologie". E non vi risparmio l'ovvietà della risposta ad una mia affermazione sull'insostenibilità degli eccessi del consumismo da parte della petulante donnetta di turno: "Ma è così che si fa girare l'economia". Risposte che rassicurano sull'ampiezza della comprensione del problema.
Di biodiversità è inutile persino fare menzione. Per noi solo le coraggiose inchieste del TG1 sui cani da compagnia sovrappeso.
Immerso in questa brodaglia di totale inconsapevolezza che è lo Sprofondo Nord dell'Italia, mi auguro che lo scenario rappresentato da Sève al di là delle Alpi non sia solamente frutto di immaginazione: "saperi che vengono elevati a visioni globali e convertiti in programmi politici"... italiani lettori miei, avete presente ? "...affissi un pò ovunque." E dov'è mai questo ovunque, che non lo trovo da nessuna parte ?

giovedì 17 novembre 2011

Rovesciamento


Bene; smaltita la doverosa sbornia per lo smaltimento del Puzzone, ora facciamo qualche ragionamento.
Ci mettiamo nelle sapienti mani degli Economisti. Tanto di cappello alla loro universalmente rispettata autorevolezza, ma mi porrei quache domanda.
Mettiamo da parte ora il caso particolare dell'Italia, dove c'erano urgenza e necessità di presentarsi al resto del mondo con la faccia di qualcuno che non si facesse ridere dietro; vediamo le cose nella loro generalità universale.
Gli economisti hanno a disposizione gli strumenti culturali per affrontare i cambiamenti che abbiamo di fronte ?
A sentire le ricette che vengono proposte, ancora tutte a base di aumento della domanda e rilancio dei consumi, sembra proprio di no.
La loro visione del mondo mi pare inadeguata, limitata paradossalmente proprio dalla mancanza di limiti. Applicano i loro modelli, invariabilmente mercantilistici e iperliberisti, come se si trovassero su un pianeta illimitato, con una illimitata possibilità di utilizzazione delle risorse: schemi ancora figli del mito ottocentesco del progresso ineluttabile.
Ma se, come mi pare evidente, la crisi attuale è una crisi da saturazione, determinata dall'avvicinarsi proprio di quei limiti di disponibilità imposti dalle dimensioni del nostro pianeta, una ripresa economica nel senso classico (o anche in qualsiasi senso) non sarà mai possibile, e quelle speranze di ripresa e rilancio rivolte verso un orizzonte puramente consumistico saranno destinate a rimanere vane.

Bisogna andare incontro ad un completo rovesciamento di prospettiva. Forse non un economista, ma piuttosto un ecologo, o magari un fisico termodinamico, potrebbero avere le idee più chiare sui flussi di materia ed energia e sulle loro limitazioni.
Se provassimo a pensare alla disponibilità di risorse come limite condizionante (come farebbe un ecologo, appunto), e non alla necessità del profitto ? Ed alla conservazione di tali risorse anche per le generazioni future ?
Se quindi stabilissimo un limite di materia ed energia da impegnare nelle produzioni secondarie, limitando la produzione industriale solo allo stretto indispensabile, per concentrare il più possibile le risorse nelle produzioni fondamentali (cibo, fibre, energia, cultura ecc.) ?
E quindi ripartire il lavoro di conseguenza ? Eventualmente poco, con poco reddito per pochi consumi ?
Ed ecco che all'improvviso non è più il lavoratore la figura da mettere in discussione, ma l'imprenditore, che diventa un semplice funzionario-esecutore (e addio profitti d'impresa, evidentemente) ?
Si è già ipotizzato più volte qui sopra che sia proprio il profitto quel differenziale che manda in malora tutto il sistema; e sarebbe almeno divertente raccontare ai nipoti che il capitalismo è finito a causa dell'accumulazione di capitali.
Se non fosse più la tendenza all'accumulazione di ricchezze il vincolo fondamentale, che fa diventare tutto il resto secondario e marginale, e la salvaguardia dell'ambiente e del pianeta addirittura un lusso ?
Ma al contrario sia la salvaguardia delle ricchezze e delle risorse naturali, dalle quali dipende il nostro futuro, il fattore condizionante per tutti processi economici, il vero vincolo insuperabile ?
Un ecologo probabilmente ragionerebbe in questi termini, gli economisti secondo me non sono ancora maturi.

mercoledì 9 novembre 2011

La trasmissione sarà interrotta il più presto possibile



- Causa rescisssione anticipata del noleggio in essere, Giuliano Ferrara affittasi a miglior offerente.

- Augusto Minzolini si prenderà una lunga vacanza all'estero, lasciandosi inavvertitamente in tasca la carta di credito aziendale.

- Smascherato Mario Giordano mentre, travestito da vecchietta, tenta di farsi tesserare nell'Italia dei Valori.

- Franco Bechis a partire dal 10 novembre assicurerà di non sapere chi fosse il Presidente del Consiglio in carica: "Ah, era quell'omino lì ? Ma và ?".

- Emilio Fede no: lui aspetta di farsi seppellire, vivo, nella stessa tomba (per poi tentare di evadere portandosi via gli oggetti di valore).

- Ernesto Galli della Loggia muore misteriosamente.

- Maurizio Belpietro dichiara di essere all'oscuro del fatto che quello che lui scriveva come puro divertissement personale venisse pubblicato a sua insaputa.

- Vittorio Feltri con elmetto e tuta mimetica fa il turno di notte a guardia della redazione per impedire l'ingresso dei bolscevichi.

- Alessandro Sallusti intraprende una fortunata carriera, sulla quale ometteremo di fornire dettagli, come custodia del prezioso dito medio della Santanchè.

- Carlo Rossella, che "è nato in Lombardia ma non si sente lombardo", è "laureato in economia ma non si sente un economista", ha militato nel PCI ma non si sente comunista, non si sente.

- Piero Ostellino e Pierluigi Battista (in coro): "ma chi l'avrebbe mai immaginato ?"

- Paolo Liguori si dice lieto di avere concluso la sua opera di infiltrato, e dichiara che da domani riprenderà la sua normale attività in Lotta Continua.

- Mario Sechi dà prova della sua integrità morale preparandosi con le sue mani l'infuso di cicuta; poi però lo scambia, per una malaugurata svista, con il bicchiere di orzata del vicino Galli della Loggia.

- Bruno Vespa fa una puntata di "Porta a Porta" sul delitto di Cogne.

lunedì 7 novembre 2011

mercoledì 2 novembre 2011

Habitat urbani



Sarebbe bello se quello che all'occhio benpensante appare come incuria ed abbandono bastasse, viceversa, a curare e recuperare i nostri misfatti: un tratto di marciapiede di periferia che sfugge alla disciplina del verde pubblico, che riesce a coprire il cemento con humus di ottima qualità, dove funghi decompositori riescono già a far svettare sollazzi di ubertosi corpi fruttiferi.
Sarebbe bello se tutti i cementi e gli asfalti lasciati dalla vertigine industriale all'oblio della deindustrializzazione, nel libero mercanteggiamento dello sfruttamento invisibile della materia organica (dai passi delle umane formiche operose in tuta blu, ai morsi e agli enzimi di insetti veri, acari e vermi e microbi che tutto riciclano e riportano a disposizione di piante e animali) potessero tornare in pochi anni luoghi di produzione primaria, sepolti da terriccio fertile nuovo di trinca.


Sarebbe bello anche se i giovani frassini che mi ostruiscono il passo e mi obbligano a scendere dal marciapiede, potessero riuscire un giorno, con la sola forza dell'ineluttabile crescita delle loro radici, a spallare e far crollare il muro, ironicamente verde, della caserma dismessa.

Sarebbe bello, ma non sarà. Non vedremo i nostri stessi edifici sepolti dalla foresta come le antiche capitali dei Maya apparvero agli europei. Il cemento e l'asfalto rimarranno comunque lì, magari solo imbellettati da un esile velo di salutare abbandono, ma comunque improduttivi.
E avremo già costruirto un nuovo e ancor più inutile isediamento militare fuori città, e ancora un appezzamento di campagna diventerà edificabile per la realizzazione di un grande centro commerciale dove un nuovo ettaro di asfalto fresco, pulito e diserbato consentirà alla signora culona di arrivare comodamente con il carrello fino all'automobile.

In Italia siamo (il censimento ci dirà) 60 milioni, su un territorio di 300000 kilometri quadrati: fanno, in media, 5000 metri quadrati a testa: meno di un campo di calcio.
Del campo da calcio medio che ciascuno ha a disposizione, una buona fetta è costituita da montagne, che ci allietano il panorama, ed ai cui ghiacciai noi e i nostri acquedotti dovremmo augurare lunga vita; dobbiamo ricavarne lo spazio nel quale abitiamo, più la nostra quota parte, per piccola che sia, di edifici pubblici (scuole, ospedali, ecc.). Quello che rimane del nostro campo di calcio personale dovrebbe produrre tutto ciò che consumiamo: cereali per farine, frutta, ortaggi, ecc.; foraggio per il bestiame; dovrebbe alloggiare la nostra quota parte di mucca, di pecora, maiale, pollame ecc.; e ancora legname, fibre, ecc.; e dovrebbe avanzare ancora lo spazio per ospitare le industrie che trasformano i prodotti primari della terra. Ultimo ma non ultimo, ci sarà anche lo spazio per lo smaltimento dei nostri rifiuti, comunque esso vengga condotto. Proviamo a pensare a tutto quello che consumiamo individualmente in un anno e immaginiamo che tutto debba provenire da una superficie inferiore a quella di un campo di calcio.
Ma non è ancora finita: dobbiamo sbattere il muso su quello che abbiamo fatto finta di ignorare per più di un secolo: abbiamo bisogno anche di una superficie forestale che riassorba con la fotosintesi tutta l'anidride carbonica prodotta dalle combustioni che forniscono energia ai nostri processi.

E così, asfaltato un ettaro di terreno fertile per costruire un supermercato, avremo fatto la felicità della signora culona che si aggirerà sfarfallando gaiamente con il suo carrello tra i banchi e mediterà soppesando pensosa le offerte (e quanto si medita meglio abbandonando il carrello di traverso in mezzo alla corsia !)
Poi, tra i variopinti scaffali dell'ortofrutta, si scandalizzerà vedendo i peperoni importati dalla Romania. L'impeto del consumatore patriottico non potrà trattenersi: "Ma dovrei dunque comprare dei peperoni che arrivano dalla Romania e chissà come sono fatti ?" (sono fatti da piante di peperone, supporrei io). E chioserà, con impostazione di voce, diciamo, risorgimentale (immaginiamo anche un accenno di vibratino sull'interrogativa): "Io voglio comprare solo peperoni italiani ! Ma dove sono i peperoni italiani ?"

Ci sei sopra.
Sono sotto l'asfalto.